Roberto Bompiani Pranzo Antiqua Roma Getty Museum

Roberto Bompiani – Antiqua Roma – J. Paul Getty Museum – Los Angeles

 

 

A CENA DA

TRIMALCIONE

 

a cura di

Michele E. Puglia

 

Ci siamo avvalsi della edizione del

Satyricon di Petronio Arbitro,

 annotata da Vittorio De Simone

(Edita da R. Tipografia Francesco Giannini & Figlia 1804)

 

 

SOMMARIO: INTRODUZIONE; L’ANTIPASTO; I VINI; LE COSTELLAZIONI; IL CINGHIALE; L’INTERVALLO; IL METALLO DI CORINTO E LA CULTURA DI TRIMALCIONE; IL PRIAPO DI PASTA; LA CENA FUNEBRE; LE SECONDE MENSE.

 

 INTRODUZIONE

 

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el romanzo ci sono pervenuti solo alcuni frammenti dei libri XV e XVI, mentre il rimanente testo è andato irrimediabilmente perduto; la sua importanza è data dallo spaccato di vita dell’epoca neroniana in cui esso è stato scritto, del quale il romanzo ne riporta il modo di vivere e l’assenza di principi morali, senza ipocrisie di sorta, come invece è avvenuto in altre epoche.

Il riconoscimento del libro, come capolavoro della letteratura latina, è giunto anche in ritardo in quanto, per molto tempo non aveva avuto i suoi giusti apprezzamenti fino a Benedetto Croce che lo aveva giudicato inferiore del Baldus (Teofilo Folengo)  e al Gargantua (Rabelais), ritenendo il “racconto privo di significato umano”:   anche i grandi commettono degli errori, specie quando sono prevenuti!

Anche il riconoscimento allo stesso autore, Petronio, detto Arbiter elegantiarum, per la sua raffinatezza nell’eleganza alla corte di Nerone e aveva ricoperto la carica di Console, era stato sminuito nelle sue capacità letterarie da Voltaire, il quale aveva scritto che “era ridicolo attribuire il libro a un  Console [!], come attribuire al cardinale Richelieu un testamento politico in cui la verità e la ragione siano  insultati press’a poco in ciascun rigo”, senza fornirci ulteriori elementi su questo suo giudizio.

I personaggi del romanzo sono, Encolpio (che impersona Petronio) che possiede una buona cultura letteraria e poetica ed è accompagnato da Ascilto e dal giovane Gitone (con tutto quello che comportava all’epoca essere un bel giovinetto!), i quali vivevano di espedienti e avendo saputo della cena liberamente offerta da Trimalcione, vi partecipano; Encolpio, a un certo punto nel racconto del romanzo, sarà sostituito dal vecchio Eumolpo. 

Gaio Pompeo Trimalcione, nel quale alcuni studiosi hanno voluto vedere la figura dell’imperatore Nerone, era un ricco sfondato, divenuto tale con la propria intraprendenza.

Da ragazzo la sorte lo aveva assegnato alla schiavitù e, come tanti altri giovanetti, era usato dal padrone per sfogare le sue pulsioni erotiche; dal suo canto egli si trastullava con la padrona (di nome Fortunata: frugale, sobria. astuta, vale tant’oro quanto pesa; ma ha una lingua che taglia e cuce peggio di una gazza!).

Dopo che il padrone lo aveva magnanimamente reso coerede dell’imperatore, avendo ereditato un patrimonio da senatore, Trimalcione si era dato al commercio con le navi: le prime cinque avevano fatto naufragio, ma lui non si era perso d’animo e ne fece costruire altre, e guadagnò tanto (dieci milioni di sesterzi) da poter acquistare tutti i fondi del padrone; “e ogni cosa che toccava aumentava come un favo di miele, fino ad avere qualunque cosa potesse servire nella vita quotidiana”.

Possedeva tante terre che a sorvolarle tutte sarebbe occorso un falco: “Un mio fondo suburbano, che non mi sono ancora preso la briga di visitare, si estende da una parte fino a  Terracina e dall’altra fino a Taranto; il mio desiderio è quello di acquistare la Puglia, se mi riuscirà di annetterla ai miei poderi, potrò dire di aver vissuto abbastanza”.

E’ nel suo grande palazzo pieno di schiavi (ne aveva tanti che molti di essi non conoscevano il padrone), che si svolge la cena: “prima era una catapecchia, ora è una reggia; ha tre biblioteche di cui una latina e una greca ... quattro sale da pranzo, venti camere da letto, due porticati di marmo e al piano superiore un altro appartamento, la stanza in cui dormo, il covo di questa vipera (Fortunata!), e un’ottima cella per il portiere e stanze per tutti gli ospiti”.   

Da buon arricchito, durante la cena fa sfoggio di una cultura raffazzonata, dando saggi della propria ignorante confusione, ogni volta che si esprime su qualsiasi argomento di storia, mitologia (si veda la sua versione dei personaggi della guerra di Troia!), astronomia, e, se ciò non bastasse, i vapori del vino gli fanno improvvisare anche dei versi!

 

L’ANRIPASTO

 

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’antipasto era servito su un vassoio con un asinello corintio con una doppia bisaccia che da una parte conteneva olive bianche, dall’altra olive nere; coprivano l’asinello due piatti, sui margini di uno era scritto il nome di Trimalcione, sull’altro il peso dell’argento; inoltre, ponticelli saldati tra loro sostenevano ghiri [erano prelibati e appositamente allevati], conditi con miele e papavero; vi erano anche salsicciotti  caldi posti su una graticola d'argento e sotto la graticola vi erano prugne di Siria con grani di melagrana.

Entra Trimalcione  fra canti e suoni, adagiato fra montagne di cuscini; da un mantello rosso fuoco spuntava una zucca pelata che intorno al collo, tutto infagottato, sfoggiava un tovagliolo ornato di rosso, da senatore, con delle frange che pendevano da tutte le parti. Al dito mignolo della sinistra portava un enorme anello dorato e all’ultima nocca del seguente dito ne aveva uno più piccolo tutto d’oro, saldato da ferruzzi a guisa di stelle e per non mostrare solamente queste ricchezze, si scoprì il braccio destro ornato di bracciali d’oro e di un cerchio d’avorio, congiunto a una piastra luccicante.

Essendo ancora all’antipasto, fu portata una tavola con un cofanetto nel quale era una gallina di legno con le ali spiegate a ruota come sogliono fare quando covano le uova; si avvicinarono due servi e al suono di musica rumorosa incominciarono a cercare nella paglia da cui presero alcune uova di pavone che distribuirono ai commensali.  

Trimalcione suggerì di provare a vedere se avessero già il pulcino: percuotendo le uova gli ospiti si accorsero che erano di pasta frolla; un commensale diceva: “Ci deve essere qualcosa di buono”; aperto il guscio apparve un tordo arrostito contornato da tuorlo d’uovo pepato.

 

I VINI

 

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a proposta di bere vino col miele e il suono dell’orchestra, segnò la fine degli antipasti.

Entrarono due etiopi piumati con piccoli otri e dettero vino per le mani: nessuno porse acqua.

Furono portate anfore di vetro suggellate con gesso, sul collo delle quali erano incollati i cartelli con la scritta “Falerno Opimiano di cento anni” (*)

Un servo portò uno scheletro d’argento così ben fatto che le  articolazioni e le vertebre staccate, si piegavano [l’uso dello scheletro era stato importato dall’Egitto e per la religione pagana, e in particolare la epicurea, serviva a spingere l’uomo a godere la vita].

 

*) La specie di vino indicato non esisteva e Trimalcione poteva essere stato ingannato o ne aveva dette una delle sue!; il termine “opiniano” designava il Console Opinio in carica nell’anno 121 a.C. che era stata un’annata eccezionale; le anfore avevano il  fondo a punta per poterle mettere nel terreno, mentre sul collo lungo si scriveva il nome del Console in carica e la qualità del vino e si chiudeva con sughero ricoperto con pece o con gesso; le migliori anfore si facevano in Grecia,quelle più ordinarie nella Sabina e in Campania.

V. in Articoli: “Il vino, storia, miti, religioni”

 

LE COSTELLAZIONI

 

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opo questa parentesi, apparve una credenza rotonda con disposte intorno le dodici costellazioni con il cibo corrispondente: vi erano sull’Ariete ceci aretini; sul Toro un pezzo di bue, sui Gemelli, testicoli e rognoni (considerati fortemente erotizzanti), sul Cancro una corona, sul Leone un fico africano; sulla Vergine, una vulva di troja non toccata dal maschio; sulla Lyra, una bilancia, in una parte della quale vi era un berlingozzo e nell’altra una schiacciata; sullo Scorpione un pesciolino di mare; sul Sagittario, una lepre; sul Capricorno un granchio marino; sull’Acquario un’oca; sui Pesci due triglie; nel mezzo vi era un cespuglio reciso con verdura che sosteneva un favo di miele (*).

Un ragazzo portava intorno il pane in una teglia d’argento, cantando – con orrida voce da mimo – una canzone in lode alla salsa di sugo di silfio (era il liquido di una pianta che cresceva in Siria).

A un ordine di Trimalcione apparvero quattro schiavi che ballando a  suon di musica tolsero il coperchio della credenza da cui emersero volatili ingrassati e tette di scrofa e nel mezzo una lepre coperta di penne da somigliare a Pegaso.

Agli angoli della credenza vi erano quattro satiri dai cui falli scorreva una salsa di caviale pepata,  su alcuni pesci che nuotavano in una vulva [simboli fallici e vulve all’epoca non creavano scandalo].

A un ordine di Trimalcione che chiamò Trincia [che aveva proprio questo nome], apparve lo scalco che gesticolando a tempo di musica suonata da un organo idraulico, tagliò in modo perfetto quelle vivande.

 

 

*) Un astrologo spiega le nascite sotto i segni zodiacali:

Questo cielo, dice,  nel quale abitano dodici dei, si cambia in altrettante figure, ed ora si fa Ariete: Quindi, chiunque nasce  sotto questa costellazione ha molti armenti, molta lana e inoltre, ha la testa dura, la fronte svergognata, la sorte propizia; sotto questo segno della costellazione nasce la maggior parte degli scolastici e dei baccelloni.

Poi il cielo entra nella costellazione del Toro e per conseguenza nascono i recalcitranti, i bifolchi e quelli che  per sé stessi si procacciano il cibo. Sotto i Gemelli  nascon le bighe (ai quali si attaccano i doppi cavalli), i buoi, i testicoli e quelli che hanno il piede in due staffe. Io nacqui sotto il cancro e perciò mi reggo su molti piedi e in mare e in terra, molto posseggo perché il Cancro quadra bene quà e là.; per questo già da un pezzo, sopra quello non posi niente per non contaminar la mia nascita. Sotto il Leone nascono i mangioni e i superbi. Sotto la Vergine le donne, i vigliacchi e gl’irresoluti. Sotto la Lyra i beccai, i profumieri e chiunque faccia qualche mestiere di pubblica vendita. Sotto lo Scorpione i venditori di velenie gli assassini. Sortto il Sagittario i guerci che guardano gli erbaggi e rubano il lardo. Sotto il Capricorno  i passaguaiai quali sul viso nascono le corna. Sotto il Capricorno per i romani nascevano gli uomini avventurosi e i potenti: Augusto ci teneva a ricordare che era nato sotto questo segno che lo aveva ricordato battendolo sulle monete. Sotto l’Acquario nascono i tavernai e le zucche. Sotto i Pesci gli spenditori e i retori.

 

 

IL CINGHIALE

 

 

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ei servi posero sui triclini certe coperte sulle quali erano dipinte reti e uccellatori con gli spiedi e tutto un apparato di caccia.

Su un desco fu introdotto un intero cinghiale di prima grandezza, con berretto  e dai denti pendevano due cestelli intessuti con palme, uno dei quali era pieno di datteri della Siria, l’atro con datteri della Tebaide; attorno vi erano porcellini più piccoli fatti di pasta, stando quasi sulle poppe, davano a intendere che era servita una scrofa; un altro scalco sostituì Trincia per tagliare il cinghiale: il quale, dopo aver brandito il coltello da caccia, lo infilò nel fianco del cinghiale e dalla ferita  volarono, svolazzando, dei tordi che furono presi da uccellatori ai quali Trimalcione ordinò di darne uno (nel frattempo cotti) per ciascun ospite; vedete pure che bellezza di ghiande ha mangiato questo cinghiale: e da alcuni ragazzi furono distribuiti i datteri siriaci e tebaici dei due cestelli, a cadenza di musica.

Il berretto sulla testa del cinghiale era per i romani simbolo di libertà e il cinghiale al convito della sera precedente aveva goduto della  libertà di non essere stato toccato.

Un bel ragazzo cinto di viti ed edera, chiamato Bromio o Lieo o Evio portò dell’uva in un cestino, cantando con voce acutissima, mentre Trimalcione diceva: Dionisio, tu sei libero e il ragazzo tolto il berretto dalla testa del cinghiale lo mise sulla sua testa (il ragazzo era stato quindi a questo modo affrancato e reso libero).

               

L’INTERVALLO

 

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olte le mense a suon di musica, entrano tre maialini bianchi ornati di cavezze e campanelli, di due, tre, sei anni: Trimalcione chiese quale dei tre gli ospiti volessero fosse portato in tavola, ma senza attendere la risposta, fece chiamare il cuoco, Gajo, e gli ordinò fosse ucciso il più vecchio dicendo al cuoco di prepararlo bene; quando torna il cuoco dice di aver dimenticato di sventrarlo e Trimalcione gli ordina di spogliarsi per punirlo, ma gli ospiti intercedono per lui; Trimalcione a questo punto gli dice: Visto che hai dimenticato di sventrarlo, fallo ora; il cuoco, rimessosi la tunica incomincia a tagliare qua e là il  maiale ... ed ecco che dalle ferite che si allargavano per l’inclinazione del peso, traboccavano salsicce insieme a sanguinacci; i servi applaudirono gridando viva Gajo, e in dono ricevette una corona d’argento e una coppa in un piatto di Corinto (erano famosi i vasi di ceramica di Corinto tra i quali, quelli a rilievo, imitavano i vasi di metallo).

 

IL METALLO DI CORINTO

E LA CULTURA DI TRIMALCIONE

 

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 questo punto Trimalcione disse che era il solo a possedere il metallo (e non la ceramica) di Corinto, ma con un gioco sui nomi, egli spiegava che il   calderaio dal quale li comprava si chiamava Corinto, dicendo: Che cosa vi è di più corintio se non quello che ha Corinto?  [ ]

Trimalcione, per dimostrare di avere una certa cultura, disse: Non crediate che io non sia istruito, so molto bene da dove provengono i vasi corintii, e spiega [facendo una certa confusione tra la presa di Troia e Annibale!]; Quando fu presa Troia, Annibale, uomo maligno e astuto, ammucchiò su un rogo tutte le statue di oro di argento e di bronzo e vi appiccò il fuoco; da quel miscuglio si compose un unico metallo e da questa miscela i fabbri ricavarono catini, piatti e statuette; ma, aggiunse Trimalcione, io preferisco le cose di vetro che non puzzano, che se non si rompessero le preferirei all’oro.

Ma vi fu un artefice, raccontava Trimalcione, che aveva costruito una boccettina di vetro che non si rompeva; fu portato alla presenza di Cesare e, davanti all’imperatore, la scagliò sul pavimento e non si ruppe; poi prese un martellino e battendovi sopra essa non si ruppe; a questo punto l’imperatore gli chiese se qualcun altro conoscesse la formula e l’artefice rispose che la conosceva solo lui, e l’imperatore gli fece tagliare subito la testa perché se fosse stata conosciuta quest’arte l’oro sarebbe stato valutato come fango.

Per la verità, diceva Trimalcione, io sono amator dell’argento e ho suppergiù cento bicchieri della capacità di un’urna, sui quali è inciso in qual modo Cassandra uccise i suoi figli, e i fanciulli giacciono morti così da crederli vivi. Ho anche mille grandi vasi da bere, che Mummia lasciò al mio protettore, dove si vede Dedalo che chiude Niche nel Cavallo trojano; e ho anche incise sui bicchieri le battaglie di ermerote e di Petraite, tutte cose di gran valore e capirete che non vendo la mia roba per nessun prezzo

pag. 96   l’argenteria di Trimalcione

Dopo un intervallo con gli acrobati, di cui uno teneva una scala e un ragazzo vi saliva e scendeva cantando e passando ad altro esercizio il ragazzo attraversava cerchi infuocati sostenendo un’anfora con i denti: Trimalcione guardava estasiato e commentava che due cose umane guardava volentieri, gli acrobati e le quaglie, gli altri divertimenti sono vere bagatelle.

Dopo un intervallo poetico, mentre gli Omeristi recitavano in lingua greca, Trimalcione leggeva in lingua latina e spiegò che “Diomede e Ganimede erano fratelli ed Elena era loro sorella; Agamennone la rapì e al suo posto mise la cerva Diana; così Omero racconta in che modo combattano i Troiani e i Parentini! S’intende che Agamennone  vinse e la sua figliola Ifigenia dette in moglie ad Achille, per lo che Ajace divenne pazzo”.

Intanto un vitello lesso fu portato in un enorme vassoio e tagliato a pezzi dallo scalco Ajace, e fu distribuito tra i commensali.

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IL PRIAPO DI PASTA

 

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pertasi la soffitta, un gran cerchio quasi staccatosi da una larga cupola è calato dall’alto, intorno pendevano corone d’oro con vasetti di alabastro pieni di unguento; mentre Trimalcione invitava a prendere quei regali, sulla mensa era stato messo un servito con alcune focacce in mezzo al quale vi era un Priapo (*) fatto di pasta che, secondo l’uso sosteneva nel grembo, abbastanza ampio, uva e pomi di ogni specie; le focacce e i pomi appena toccati sprizzavano zafferano - liquido molesto -  che finiva anche sul viso.

Entrarono tre giovanetti avvolti in bianche tuniche i quali misero sulla mensa gli dei Lari, ornati di gallozze d’oro e un altro, portando intorno una coppa di vino, “Siano propizi gli dei”, gridava.

A questo punto Nicerote, richiesto da Trimalcione, racconta la sua vita infarcita da apparizioni di streghe (**), seguito da altri particolari si giunge al comando di Trimalcione di riempire un gran vaso di vino ordinando di dar da bere ai servi e se qualcuno non avesse voluto bere il vino, questo doveva essergli versato sul capo.

Tennero dietro altre ghiottonerie costituite da tordi, galline ingrassate e uova d’oca imbottite, mentre Trimalcione rassicurava gli ospiti che “le galline erano disossate”.

 

*) I romani erano legati al culto di Priapo, rappresentato in tutte le forme p. es.  bicchieri o pani detti “coliphia” (formam pudendorum virilium) nella forma delle pudenda maschili (da Giovenale).

**) Nel corso della conversazione viene indicato un ospite che dal nulla si era arricchito “rubando il berretto al diavolo”: nella tradizione napoletana e del meridione è ricorrente il racconto di questo berretto del diavolo che fa diventare ricchi: Avete mai provato la sensazione di oppressione durante il sonno? Ebbene è il diavoletto indicato con nomi diversi (monaciello per i napoletani; scazzamurridd per altri meridionali), basso e grosso con il berretto (scazzetta) in testa, che si è messo sopra di voi e vi fa mancare il respiro; secondo il racconto se riuscite a togliergli il berretto, per riaverlo il diavoletto vi fa diventare ricchi!

 

 

LA CENA FUNEBRE

 

 

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a conversazione cade sulla cena funebre data da Scissa per un suo liberto morto, appena affrancato: La cena era consistita in un primo, costituito da un porco coronato di salsicce e contornato di salami e da interiora di polli, misti a polpette molto ben fatte, con bietole e pan bigio puro, - preferibile al bianco perché mette forza e andando di corpo non fa lacrimare [senz’altro  come il nostro pane integrale!]; il secondo fu di focacce fredde sparse con eccellente miele caldo di Spagna, con intorno ceci, lupini, noci avellane a discrezione e una mela per ciascun convitato.

Fu servito anche un pezzo di orsa, che mentre a Scintilla [moglie di Abinna] aveva procurato il vomito, chi narrava, che ne aveva mangiato più di una libbra, l’aveva gustata perché sapeva di cinghiale.  

Infine era stato offerto del cacio molle con mosto rassodato, delle lumache senza guscio, uno spezzato di agnello, fegato in catini e uova farcite, rape, senape, e tazze fatte a forma di conchiglie; furono portate in un vaso olive all’aceto (qualcuno che non aveva preso il prosciutto ne prese tre manate!).

 

 

LE SECONDE MENSE

 

 

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rimalcione ordina di portare le seconde mense  e i servi tolte di mezzo le

imbandigioni, ne portano altre, spargendo per terra della segatura tinta di croco e di minio e di una polvere fatta di pietre trasparenti che non si era mai vista.

L’ultimo servito era costituito da tordi di segala farciti di noci e di uva passa; seguirono mele cotogne irte di spine perché simulassero i ricci di mare e queste cose si potevano considerare tollerabili se non fosse stata posta sulla tavola una portata enorme, sembrava essere un’oca ingrassata contornata di pesci e di ogni specie di uccelli; amici disse Trimalcione, ciò che vedete è fatto di un unico corpo, aggiungendo: Io cresca di patrimonio e non di corpo, com’é vero che il mio cuoco (*) ha fatto tutto questo da un porco. Non ci può essere uomo più prezioso; dove tu voglia, egli ti farà un pesce da una matrice, un colombo da un lardo, dal prosciutto una tortora, da una focaccia una gallina.

Durante un intervallo, Trimalcione legge il suo testamento e le disposizioni per la sua tomba e l’epitaffio, che sono seguiti da un pianto generale dei padroni, degli ospiti e dei servi; a questo punto Trimalcione invita tutti a un caldo bagno ristoratore, dopo di che gli ospiti sono invitati ad andare in un’altra sala da pranzo, mentre si sente il primo canto di un gallo che annuncia l’alba; un vicino di casa manda in dono un gallo che Trimalcione ordina al cuoco di prepararlo in casseruola.

Credendo fosse scoppiato un incendio, arrivano i vigili del quartiere arrivano i vigili del quartiere, creando un trambusto in quanto erano entrati sfondando la porta e facendo un’ira di Dio alla loro maniera, con acqua e scuri; i tre ospiti colgono l’occasione per squagliarsela, come se davvero fosse scoppiato un incendio!

 

 

*) Il cuoco di Trimalcione era un cuoco straordinario da meritarsi il nome del mitico Dedalo (l’idea del nome doveva essere stata di Trimalcione in quanto Dedalo  era architetto - costruttore del Labirinto - e non aveva nulla a che vedere con i cuochi!); il primo cuoco che aveva portato al livello di scienza l’arte culinaria è stato il siracusano Miteco, considerato il Fidia dei cuochi, ricordato da Ateneo di Naucrati (II sec. d. C.), autore del trattato “Sapienti a banchetto”; altri cuochi famosi dell’antichità sono stati Labdaco di Siracusa (III sec. a. C.) e i suoi scolari Sofone di Acamania e Damosseno di Rodi e i loro infiniti discepoli; in ogni caso l’antichità è piena di testi di cuochi indicati nel libro di Apicio “De arte cuchinaria-L’arte della cucina” Bompiani Tascabili 1999.

 

 

 

FINE